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| ph. © andrea auletta - il silenzio delle cose |
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Mi sveglio ancora avvolto fra le lenzuola con un cuscino sotto la testa e l’altro tenuto fermo fra le braccia, avvinghiato a me. Una mosca mi infastidisce esibendo sfrontatezza. Approfitta del mio stato di dormiveglia che non mi impedisce, comunque, di schiacciarla fra le mani con un improvviso e veloce scatto. Mi rimetto giù riaffidando i muscoli al letto ma non dormo.
Attraverso le persiane abbassate filtra il sole ed un silenzio inusuale per un mercoledì mattina, giustificato solo dal fatto di stare in pieno agosto. Sono solo a casa e l’orologio segna le nove. Un pensiero veloce, come il borbottio dell’aria nello stomaco o una fitta nella tempia, mi balza nella mente: «se avessi un infarto adesso chi potrebbe aiutarmi?»
Poi il pensiero passa, ritorna da dove è venuto, nell’inconscio, sparendo come una lucertola dentro l’erba. Mi alzo e vado in cucina. La giornata è bella e sento di poterla affrontare.
Prima di andare nel cortile da Mosè, decido di fare colazione. Apro il frigo e tiro fuori un mezzo melone giallo. Prendo il coltello e ne taglio una fetta mangiandola con gusto. Ne taglio un’altra e un’altra ancora, sino a finirlo tutto, dissetandomi con quella dolce polpa. Ma ecco che, di nuovo, “la lucertola” riappare dal cespuglio passandomi davanti e infilandosi sotto una pietra: «il melone era freddo. Se mi viene una congestione come faccio? L’ho mangiato troppo in fretta».
Prima di andare nel cortile da Mosè, decido di fare colazione. Apro il frigo e tiro fuori un mezzo melone giallo. Prendo il coltello e ne taglio una fetta mangiandola con gusto. Ne taglio un’altra e un’altra ancora, sino a finirlo tutto, dissetandomi con quella dolce polpa. Ma ecco che, di nuovo, “la lucertola” riappare dal cespuglio passandomi davanti e infilandosi sotto una pietra: «il melone era freddo. Se mi viene una congestione come faccio? L’ho mangiato troppo in fretta».
Vado in bagno con questi pensieri appresso e senza avvertire sintomi, comincio a disperarmi guardandomi allo specchio: «no! non voglio morire così giovane». Una mimica facciale da pianto forzato e senza lacrime accompagna il via vai dei miei timori espressi a voce alta nello specchio. Mi sento un po’ bambino e un po’ cretino e temo che da un momento all'altro i sintomi di una congestione allo stomaco si facciano sentire. Ho paura di avere le ore contate e di morire per qualcosa di banale ed evitabile: “un melone mangiato freddo”.
Fra l’ansia che monta e il tentativo di sedarla, cammino freneticamente per casa in mutande, per esorcizzare il malore atteso e per farmi trovare distratto al suo arrivo, poi, mi viene in mente un episodio tante volte raccontatomi da mio padre.
“Era agosto e lui tornava da lavoro ad ora di pranzo. Il caldo era afoso intenso e umido, come adesso. Salito le scale e con addosso una sete insistente andò dritto verso il frigo, prese una bottiglia ghiacciata di acqua e cominciò a bere mandando giù il liquido. Qualche minuto dopo, un sudore freddo gli invase la fronte e il corpo e un dolore allo stomaco lo costrinse a sdraiarsi sul letto. La nausea lo avvolse così tanto da costringerlo a vomitare immediatamente tutto quello che aveva ingerito”.
Un rutto, come un tuono interno, mi riporta a me stesso e alla mia angoscia, ma lo interpreto come un segno iniziale del blocco intestinale che da lì a poco mi avrebbe ucciso. L’ansia aumenta. Ma nulla, dei dolori alla pancia e della nausea nemmeno l’ombra. Pure il respiro è regolare. Ciò che invece avverto con insistenza è l’agitazione e il senso di smarrimento. Decido di chiamare mio fratello, è un medico, e sa di certo cosa fare, soprattutto sa ascoltarmi. Con mano tremante compongo il suo numero ma non risponde. Il fiato è corto.
Nella casa al mare ci sono sempre stati problemi di linea telefonica. Lì il sole è così forte che rende tutto arido e stagnante, compreso il flusso elettromagnetico che fa viaggiare le onde degli smartphone.
Affido ad un fumetto la mia ansia, “Dylan Dog” che, come al solito, me la fa aumentare. Quelle storie così irrazionali e piene di un senso di morte mi irritano, mi disturbano. Sono talmente insensate che minano il mio eccessivo ordine mentale, la razionalità che mi serve a dare a ogni cosa una collocazione logica. Come faccia Carlo a leggere questa schifezza, proprio non lo comprendo.
Richiudo il fumetto e provo nuovamente a telefonargli, ma prima ancora di farlo, il cellulare mi squilla, mi vibra e sbatte fra le mani come un pesce vivo: «è lui!». La tensione si ammorbidisce.
«Come va? Hai provato a chiamarmi?»
«Si ci ho provato poco fa ma non eri raggiungibile». La mia voce ha il tipico soffio di chi è in ansia e so già che se ne è accorto.
«Cosa è successo, dimmi tutto!». Gli racconto la storia del melone freddo riversandogli addosso ogni particolare e il timore di avere una congestione gastrica.
«Hai mai mangiato un gelato?», mi chiede attendendo una risposta.
«Si certo che l’ho mangiato, tante volte!»
«E ti è venuta una congestione quando lo hai fatto?»
«No, ma … non l’ho mangiato mai appena sveglio, quando il corpo è ancora caldo.»
«Ma cosa c’entra?! Per farti venire una congestione dovresti mangiare qualcosa di congelato, tutto d’un fiato, stando sotto il sole a quaranta gradi e pure sudato!» Poi continua chiedendo: «ti fa male la pancia?»
«No, non sento alcun dolore.»
«E allora di cosa ti preoccupi?! Dai stai tranquillo, non hai nulla, non ti viene nessun blocco mangiando qualcosa presa dal frigo».
Riattacco salutando e sorridendo con un sospiro di sollievo per la pace ritrovata. Rivedo il sole e risento il silenzio, il “casino” nella testa si è zittito e pure la lucertola è sparita in qualche aiuola. Posso rilassarmi, me lo concedo.
Ovviamente, “mai più” mi farò prendere dall'ingordigia sbranando un melone freddo. Ecco, aggiungo l’ennesimo “mai più” alla lista delle mie privazioni, quella che definisce i confini posti alla mia esistenza.
Un quarto d’ora dopo, a “tragedia” rientrata, un suo sms: « Ma perché non porti il cane in una pensione e vieni a stare 4-5 giorni con noi al mare?» Prima di rispondergli, sfoglio la lista dei "saggi" divieti che condizionano le mie mosse, le mie decisioni. Fra questi ce n'è uno che mi impedisce di lasciare Mosè in una pensione distaccandomene per troppo tempo.
Consultatala a fondo e dopo qualche secondo di riflessione gli rispondo secco: «no Carlo! Devo imparare a stare da solo».
Consultatala a fondo e dopo qualche secondo di riflessione gli rispondo secco: «no Carlo! Devo imparare a stare da solo».
© Andrea Auletta
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